Gianky
2008-06-26 12:30:35 UTC
Della Rigantoca avevo già sentito parlare. Un impegnativo percorso che
si srotolava tra RIGhi – ANTOla – CAprile.
Già in passato i colleghi del Nucleo Cinofilo avevano partecipato come
servizio di assistenza ed erano dovuti intervenire a recuperare gente
con un senso dell’orientamento da revisionare.
Il nome della Rigantoca era poi passato nell’oblio salvo tornare alla
carica quando un baldo ventenne, che è Capo Scout dei miei figli,
propone a mio figlio ed altri baldi 15enni di partecipare insieme a lui.
Tutto sembra andare in questa direzione se non fosse che, qualche giorno
prima dell’evento, il ventenne comunica che, causa esame universitario
da tenere il Martedì, la partecipazione alla Rigantoca la Domenica era
cosa da evitare.
Cosa fare se non dare la mia disponibilità?
E allora la Rigantoca, da spettatore disinteressato mi vede
protagonista, quindi richiedeva una attenta programmazione causa evitare
figure da Prodotto Interno Lordo (cit.).
Devo dire che in questo mio figlio mi ha dato fiducia e ha condiviso
alcune scelte.
Si è iniziato facendo attenzione all’alimentazione e alle attrezzature.
Sali minerali e zuccheri a rapido assorbimento per il cibo. Scarpe da
trekking, braga corta, magliette di cotone, cappello, zainetto
minimalista e kway. Indispensabili, nonostante la diffidenza di uno
degli altri due giovani virgulti, i bastoncini telescopici da trekking.
Le previsioni meteo, i giorni precedenti, variavano dal sereno con brevi
piovaschi di scarsa intensità alla tregenda totale.
Il giorno prima i vari siti meteoweb sono inesorabili: mattina
soleggiato ma poi pioggia intensa anche a carattere temporalesco con,
forse, schiarite pomeridiane. Notizia strategicamente taciuta alla mia
signora che è, in realtà, molto più mamma del “bambino” (cosa che non ho
detto: Luca, il bambino, ha 15 anni, alto 1,89 metri, neanche un grammo
di grasso, muscolarmente dotato).
La vigilia si sistemano le ultime cose, si prepara l’attrezzatura, il
cibo, si riempie già lo zaino.
Si va a nanna presto: alle 10 sono già a letto.
La sveglia è alle 3, l’appuntamento per andare su è alle 4 davanti al
Kilt. Li ci aspettano Gigi e Ale e il padre di Gigi, Nico, ci
accompagnerà con la macchina.
La faccia, tra il preoccupato e l’assonato, di mia moglie è l’ultima
cosa che vedo dietro la porta di casa che si chiude.
Alle 4 della Domenica mattina c’è molta più gente in giro di quello che
si può pensare.
Gli altri sono già lì. Anche Ale che sino al giorno prima era colpito da
una influenza intestinale che sembrava ne impedisse la partecipazione.
I tre giovanotti si sono accordati per portare il fazzolettone scout del
loro gruppo, il Genova 12. Io non potevo essere da meno e il
fazzolettone del Genova 8°, recuperato dalla scatola dei ricordi, dopo
anni è di nuovo al mio collo.
Alle 4 e 15 siamo all’arrivo della funicolare del Righi. C’è già un bel
po’ di gente con una grossa variabilità di tipi: dal minimalista molto
tek senza zaino e tutina ultra traspirante a quello pronto per la
campagna di Russia.
Al ritiro dei cartellini incontro con piacere due colleghi e con loro
scambio due chiacchiere.
Usciamo. Alle 4 e 45 vediamo gente iniziare il cammino ma li sentiamo
dire che occorre punzonare il cartellino prima della partenza e poi a
tutti i posti di controllo dislocati sul percorso.
Torniamo dentro al bar dove è insediata l’organizzazione (tutti
gentilissimi e sorridenti).
Alle 5 siamo pronti, un saluto a Nico e via.
Che bello avere 15 anni: non me lo ricordavo quasi più. Con i ragazzi si
canta, si ride…. Dobbiamo solo fare attenzione a una moltitudine di
sballati che scendono da Forte Sperone. Mi viene detto che viene
affittato per party a base di musica techno e/o house. Mi “scoccerebbe”
farci arrotare da un idiota che si è fumato o calato qualche pastiglia.
La considerazione sulla grande differenza tra i giovani che scendevano,
pigliando per il culo i partecipanti, da quelli che salivano è stata
spontanea.
Le gambe girano bene, superiamo un buon numero di persone, lo spirito è
buono e incomincia ad albeggiare.
Superiamo l’Osteria delle Baracche e arriviamo rapidamente al primo
punto di controllo: il valico di Trensasco.
Proseguiamo sulla strada dell’acquedotto del Valnoci superando Pino
Soprano. Un lungo tratto in mezzo agli alberi ci impedisce di vedere il
sole sorgere: peccato! Avevo già la macchina fotografica pronta.
Incontriamo una indicazione precisa: un cartello perentorio con una
freccia verso sinistra e la scritta Rigantoca ci indica un sentiero che
sale verso il Monte Alpe. E’ il primo strappo e lo patisco subito: le
gambe diventano pesanti e il fiato un po’ manca. Per fortuna la pendenza
diventa più accessibile dopo poco. Il percorso non è breve e il gruppo
di partecipanti non è ancora sfilacciato e il sentiero non permette di
superare agevolmente chi è davanti ma marcia più lento. Un anziano
particolarmente odioso tiene le braccia innaturalmente larghe nel
sentiero stretto né cede il passo: d’accordo che la marcia non è
competitiva ma questo non vuole dire che devi proprio lasciarti tutti
dietro.
Una breve e lieve discesa porta alla chiesetta di Sella: punto di
controllo e il primo punto di ristoro.
Quello che il ristoro offre e che troveremo anche in quasi tutti quelli
successivi è biscotti secchi, torte del Mulino Bianco, surrogati del
pane, zollette di zucchero, acqua, fette di limone.
La sosta è breve e si riparte. Breve salita e discesa leggera. Qui
accade qualcosa che influenzerà il resto della giornata: Ale segnala il
risvegliarsi di quei disturbi intestinali da cui pensava di essersi
liberato il giorno prima.
Dopo 10 minuti di attesa Ale rispunta dal bosco in cui si era ritirato.
La sua faccia non è quella di chi ha superato il problema ma di chi lo
ha solo momentaneamente accantonato.
Si passa per Assereto, un piccolo centro completamente abbandonato.
Poche centinaia di metri e inizia uno dei tratti più caratteristici: la
discesa verso il fondovalle su un sentiero che sulla linea di massima
pendenza impegna non poco le articolazioni. Si scende veloci e qui si
vede subito la differenza tra chi ha i bastoncini e chi non li ha. Chi
non li ha, appoggia il piede con circospezione, testa il terreno con lo
scarponcino, si tiene agli alberi passando con prudenza dall’uno all’altro.
Chi li ha, invece, praticamente scia sul fango, saltando da un punto
all’altro, qualche volta si cade ma ci si rialza con rapidità. E’ uno
dei momenti più “felici” della mia giornata; competo con i virgulti e
non sfiguro.
Qui devo amaramente rendermi conto che la mia “attenta” preparazione sta
cadendo su un dettaglio. Un’unghia del piede sta rasoiando il dito a
lato e il male aumenta ad ogni passo qui dove le sollecitazioni sono
evidenti.
Luca e Gigi allungano. Io resto con Ale che è ancora sofferente.
A Pratogrande, sulla Provinciale che collega casella a Montoggio
troviamo il successivo punto di controllo.
La sosta mi permette un rapido intervento sull’unghia ma parte del danno
è ormai fatto. Sono le 9, minuto più minuto meno. Si può chiamare casa
per aggiornare sugli eventi.
Ale con sguardo mortificato comunica di non farcela: chiama casa per
farsi venire a prendere. Lo salutiamo e ripartiamo.
Passiamo vicino al supermercato Di Meglio di Avosso: qui vediamo un
nutrito gruppo di atleti pronti alla partenza del Trial dell’Antola, 22
Km di corsa sul nostro stesso percorso.
C’è anche di peggio: due ore dopo il nostro orario di partenza dal Righi
sono partiti quelli che la Rigantoca la fanno di corsa.
Torniamo a noi. Un componente dell’organizzazione ci indica il percorso.
Successivamente potrò individuare il sentiero, sulla cartografia IGM,
che taglia a perpendicolo le curve di livello. Di questa caratteristica
me ne accorgo subito sia per le gambe che si imballano, il fiato corto,
tanti altri nelle mie condizioni. Al limite del melodramma tiro fuori
una di quelle frasi ad effetto “Ragazzi, voi andate pure. Lasciatemi
indietro ma voi due non dividetevi mai” se avessi aggiunto di lasciarmi
una pistola con un solo colpo avrei raggiunto il massimo della
drammaticità ma non era il caso di strafare.
In effetti Luca e Gigi ci mettono poco ad andare io, invece, sono nella
crisi più nera. Ogni passo è pesante, lento e difficile. La salita si
rende poi più lieve ma non è che stia meglio. Intanto è iniziato a piovere.
Raggiungo la Cappelletta di Gorra: punto di ristoro. Lì rivedo Luca e
Gigi che hanno finito il ristoro e che stanno per ripartire. Li rivedrò
dopo più di sei ore.
Mi prendo qualcosa da mangiare e riparto non prima di indossare la
cerata. La terrò sin quasi la fine.
Sono un po’ sconfortato. Chiamo mia moglie dal cellulare per cercare
sostegno morale. Mi viene dato ma non è che mi aiuti poi tanto.
La strada è asfaltata per un buon tratto. Recupero un po’ di ritmo e
gamba. Ormai vado da solo, qualche tratto insieme ad altre persone con
cui si fanno comuni ricerche su chi o cosa ci ha convinto a fare questa
esperienza.
Cascinette, Fasciou, passando vicino ad un tiro al piattello e si arriva
alla Cappelletta di Banca (853 s.l.m. e punto di controllo). Quasi in
contemporanea la punzonatura mia e quella di Martino, un ex capo scout
di mio figlio che la Rigantoca la fa di corsa e mi ha già raggiunto. La
pioggia è insistente, le nuvole incombenti senza segni di spiragli di
sole e fa anche un po’ freddo.
Si riprende con passo lento e dolente. Un breve strappo con lo sguardo
angosciato che vede il sentiero svilupparsi malignamente verso la
massima pendenza. Pochi passi e, invece, il segnavia FIE gira
decisamente a sinistra con un andamento più accessibile alle mie
performance del momento.
Il tracciato si snoda alto con momenti di vista sulla Valbrevenna.
Piani (con ristoro dove vengono offerte anche cose tipiche del posto:
formaggetta e salame) – Crosi (877 s.l.m.) e poi, deviando dal sentiero
FIE, verso la Madonna della Guardia di Pentema.
Qui punto di controllo e ristoro con una piacevole aggiunta: brodo caldo
che bevo gustandolo un sorso alla volta.
Riprendo sempre lentamente, non sono pochi quelli che mi superano e che
mi ringraziano per la gentilezza con cui mi fermo e mi accosto.
Sapessero che mi danno solo la scusa di rifiatare forse non mi
ringrazierebbero.
Il mio corpo sembra dirmi “Idiota, ma era necessario tutto questo?”.
Qui trovo l’unico neo dell’organizzazione. Il tratto di rientro nel
sentiero principale non è molto chiaro e ad un bivio io e altri siamo in
dubbio su che parte scegliere.
Scegliamo quella giusta, cosa che, scoprirò, non è stata fatta da altri
che, con percorso circolare, sono tornati alla Madonna di Pentema.
Cappelletta del Colletto – Case Piccetto. Dopo ore di cammino mi arriva
uno stimolo quasi dimenticato: devo fare pipì.
Nessuno in vista, energia per allontanarmi dal sentiero assente. “Faccio
veloce”, penso. Quasi in conclusione alla mia minzione, silenzioso come
un Apache all’assalto del fortino, compare un concorrente….. mi scuso
più volte ma quello neanche mi risponde. Ma vaff……
Agevolmente, si fa per dire, arrivo all’area picnic che il profilo
altimetrico indica come inizio della inclinata rampa di attacco
all’Antola. Per la prima volta, dopo ore e più di 36 km, mi siedo sul
tavolo, appoggio lo zaino e mi tolgo la cerata per non metterla più.
Mi ristoro adeguatamente: sali minerali, acqua, frutta disidratata,
albicocche.
Pochi minuti e riparto. Sarà per il carburante appena ingurgitato, il
traguardo che si avvicina, il percorso meno ripido di quanto credevo ma
la gamba è più sciolta e salgo più rapido.
Punto di ristoro e poi punto di controllo alla Cappelletta dell’Antola.
Qui mi indirizzano direttamente verso il sentiero per Caprile. “Ma come,
non bisogna passare per la vetta dalla croce?” No, non bisogna. La
guardo passando più in basso con lo stesso spirito con cui l’equipaggio
dell’Apollo 13 guardò la superficie lunare senza potervici posare sopra.
Breve tratto in piano e poi inizia un’altra discesa rompicollo. Ogni
passo il piede “surfa” sul fango per 10, 20, 40 cm e i bastoncini sono
indispensabili. Le articolazioni sono più che sollecitate. Se, come
credo, ho un menisco un po’ andato… delle due l’una: o lo stronco o va a
posto.
Pare prevalere la seconda.
La discesona si trasforma in quella che, con grande ottimismo, può
essere definita una strada sterrata. La può percorrere solo un trattore
votato ad una rapida demolizione.
Un signore più anziano è il mio ultimo compagno di viaggio.
I tratti fangosi sono frequenti. Si passa più a destra, centro o
sinistra in funzione di dove c’è meno fango. In alcuni passaggi non c’è
scelta: è fango ovunque. Un fango infido, molle, colloso, che aumenta
gli sforzi dei già provati muscoli.
Il signore di cui sopra è pochi metri dietro di me e mi chiede: “Scusi,
ma è suo questo?” e solleva dal fango una suola Vibram di uno
scarponcino. “Direi di no, me ne sarei accorto” e mentre lo dico sollevo
il piede destro. Tutto a posto. “Perché sa, è proprio dove aveva messo
il piede lei”. Il controllo del piede sinistro fa esplodere la
situazione tragicomica.
SI!!! Dopo quasi ventanni di onorato servizio i miei Asolo mi hanno
abbandonato..
Ma non del tutto. La considerazione che verrà dopo è la “fortuna” che
abbiano ceduto nell’ultimo tratto. Fosse successo prima avrei dovuto
abbandonare e le balle sarebbero girate. E poi la soletta e la tomaia
dello scarponcino reggono egregiamente. Certo, il grip è totalmente
assente. Rischio spesso la scivolata e una volta la ginocchiata per
terra è fortunatamente nel morbido fango.
Gli ultimi 2-3 km sono un tormento, passo lento e circospetto.
Importante il senso di stabilità che i bastoncini mi garantiscono.
L’anziano compagno di viaggio mi ha lasciato solo. Vedo i tetti di
Caprile. Finalmente. Entro nel paese.
Quella che doveva essere la cavalcata finale verso il traguardo diventa
invece l’apoteosi del tragicomico. Il percorso finale, gli ultimi 200
metri, si materializza sotto forma di una stradina in cemento lisciato,
di quelli con righe marcate a lisca di pesce. Il piede destro non tiene
a causa del fango sotto la scarpa, del piede sinistro già sapete, i
bastoncini sul cemento non fanno presa. Cammino rigido come quei mimi
che imitano i robot (qualcuno si ricorda di Zed?). Una coppia di ragazzi
che risalgono la via e mi incoraggiano e pensano che l’andatura dipenda
dai muscoli induriti. Quando gli accenno i motivi e vedono la suola
distaccata nella mia mano si allontanano ridendo.
Vedo altri partecipanti, ormai rilassanti, impegnati a sciacquarsi la
roba in un trogolo. L’arrivo deve essere veramente vicino.
Giro un angolo e vedo Luca e Gigi. Sorridono felici
Mi accompagnano all’ultima punzonatura….. n. 259….. arrivo alle 16. 11
ore di cammino per più di 43 chilometri.
Il resto è rifocillarmi nel locale messo a disposizione. Riprovare a
sentire la docilità del mio corpo che, invece, continua a maledirmi.
Pochi minuti e si deve andare al rendez-vous con il pullman che ci
riporterà a Prato.
Luca si siede accanto a me. Dopo un po’ appoggia la testa sulla mia
spalla e si addormenta. Solo per questo ne è valsa la pena.
A Prato troviamo Nico che ci è venuto a riprendere. Ciabatte per tutti e
appuntamento con gli altri della famiglia e gruppo scout alla fine della
messa delle 18.
Da li in poi il racconto si ripete e arricchisce di particolari.
Oggi, a distanza di giorni, ho fatto un armistizio con il mio corpo dopo
i primi 3-4 giorni di scaramucce.
Non sono più così tanto convinto di non rifarla.
Interessa a qualcuno?
Gian Carlo
si srotolava tra RIGhi – ANTOla – CAprile.
Già in passato i colleghi del Nucleo Cinofilo avevano partecipato come
servizio di assistenza ed erano dovuti intervenire a recuperare gente
con un senso dell’orientamento da revisionare.
Il nome della Rigantoca era poi passato nell’oblio salvo tornare alla
carica quando un baldo ventenne, che è Capo Scout dei miei figli,
propone a mio figlio ed altri baldi 15enni di partecipare insieme a lui.
Tutto sembra andare in questa direzione se non fosse che, qualche giorno
prima dell’evento, il ventenne comunica che, causa esame universitario
da tenere il Martedì, la partecipazione alla Rigantoca la Domenica era
cosa da evitare.
Cosa fare se non dare la mia disponibilità?
E allora la Rigantoca, da spettatore disinteressato mi vede
protagonista, quindi richiedeva una attenta programmazione causa evitare
figure da Prodotto Interno Lordo (cit.).
Devo dire che in questo mio figlio mi ha dato fiducia e ha condiviso
alcune scelte.
Si è iniziato facendo attenzione all’alimentazione e alle attrezzature.
Sali minerali e zuccheri a rapido assorbimento per il cibo. Scarpe da
trekking, braga corta, magliette di cotone, cappello, zainetto
minimalista e kway. Indispensabili, nonostante la diffidenza di uno
degli altri due giovani virgulti, i bastoncini telescopici da trekking.
Le previsioni meteo, i giorni precedenti, variavano dal sereno con brevi
piovaschi di scarsa intensità alla tregenda totale.
Il giorno prima i vari siti meteoweb sono inesorabili: mattina
soleggiato ma poi pioggia intensa anche a carattere temporalesco con,
forse, schiarite pomeridiane. Notizia strategicamente taciuta alla mia
signora che è, in realtà, molto più mamma del “bambino” (cosa che non ho
detto: Luca, il bambino, ha 15 anni, alto 1,89 metri, neanche un grammo
di grasso, muscolarmente dotato).
La vigilia si sistemano le ultime cose, si prepara l’attrezzatura, il
cibo, si riempie già lo zaino.
Si va a nanna presto: alle 10 sono già a letto.
La sveglia è alle 3, l’appuntamento per andare su è alle 4 davanti al
Kilt. Li ci aspettano Gigi e Ale e il padre di Gigi, Nico, ci
accompagnerà con la macchina.
La faccia, tra il preoccupato e l’assonato, di mia moglie è l’ultima
cosa che vedo dietro la porta di casa che si chiude.
Alle 4 della Domenica mattina c’è molta più gente in giro di quello che
si può pensare.
Gli altri sono già lì. Anche Ale che sino al giorno prima era colpito da
una influenza intestinale che sembrava ne impedisse la partecipazione.
I tre giovanotti si sono accordati per portare il fazzolettone scout del
loro gruppo, il Genova 12. Io non potevo essere da meno e il
fazzolettone del Genova 8°, recuperato dalla scatola dei ricordi, dopo
anni è di nuovo al mio collo.
Alle 4 e 15 siamo all’arrivo della funicolare del Righi. C’è già un bel
po’ di gente con una grossa variabilità di tipi: dal minimalista molto
tek senza zaino e tutina ultra traspirante a quello pronto per la
campagna di Russia.
Al ritiro dei cartellini incontro con piacere due colleghi e con loro
scambio due chiacchiere.
Usciamo. Alle 4 e 45 vediamo gente iniziare il cammino ma li sentiamo
dire che occorre punzonare il cartellino prima della partenza e poi a
tutti i posti di controllo dislocati sul percorso.
Torniamo dentro al bar dove è insediata l’organizzazione (tutti
gentilissimi e sorridenti).
Alle 5 siamo pronti, un saluto a Nico e via.
Che bello avere 15 anni: non me lo ricordavo quasi più. Con i ragazzi si
canta, si ride…. Dobbiamo solo fare attenzione a una moltitudine di
sballati che scendono da Forte Sperone. Mi viene detto che viene
affittato per party a base di musica techno e/o house. Mi “scoccerebbe”
farci arrotare da un idiota che si è fumato o calato qualche pastiglia.
La considerazione sulla grande differenza tra i giovani che scendevano,
pigliando per il culo i partecipanti, da quelli che salivano è stata
spontanea.
Le gambe girano bene, superiamo un buon numero di persone, lo spirito è
buono e incomincia ad albeggiare.
Superiamo l’Osteria delle Baracche e arriviamo rapidamente al primo
punto di controllo: il valico di Trensasco.
Proseguiamo sulla strada dell’acquedotto del Valnoci superando Pino
Soprano. Un lungo tratto in mezzo agli alberi ci impedisce di vedere il
sole sorgere: peccato! Avevo già la macchina fotografica pronta.
Incontriamo una indicazione precisa: un cartello perentorio con una
freccia verso sinistra e la scritta Rigantoca ci indica un sentiero che
sale verso il Monte Alpe. E’ il primo strappo e lo patisco subito: le
gambe diventano pesanti e il fiato un po’ manca. Per fortuna la pendenza
diventa più accessibile dopo poco. Il percorso non è breve e il gruppo
di partecipanti non è ancora sfilacciato e il sentiero non permette di
superare agevolmente chi è davanti ma marcia più lento. Un anziano
particolarmente odioso tiene le braccia innaturalmente larghe nel
sentiero stretto né cede il passo: d’accordo che la marcia non è
competitiva ma questo non vuole dire che devi proprio lasciarti tutti
dietro.
Una breve e lieve discesa porta alla chiesetta di Sella: punto di
controllo e il primo punto di ristoro.
Quello che il ristoro offre e che troveremo anche in quasi tutti quelli
successivi è biscotti secchi, torte del Mulino Bianco, surrogati del
pane, zollette di zucchero, acqua, fette di limone.
La sosta è breve e si riparte. Breve salita e discesa leggera. Qui
accade qualcosa che influenzerà il resto della giornata: Ale segnala il
risvegliarsi di quei disturbi intestinali da cui pensava di essersi
liberato il giorno prima.
Dopo 10 minuti di attesa Ale rispunta dal bosco in cui si era ritirato.
La sua faccia non è quella di chi ha superato il problema ma di chi lo
ha solo momentaneamente accantonato.
Si passa per Assereto, un piccolo centro completamente abbandonato.
Poche centinaia di metri e inizia uno dei tratti più caratteristici: la
discesa verso il fondovalle su un sentiero che sulla linea di massima
pendenza impegna non poco le articolazioni. Si scende veloci e qui si
vede subito la differenza tra chi ha i bastoncini e chi non li ha. Chi
non li ha, appoggia il piede con circospezione, testa il terreno con lo
scarponcino, si tiene agli alberi passando con prudenza dall’uno all’altro.
Chi li ha, invece, praticamente scia sul fango, saltando da un punto
all’altro, qualche volta si cade ma ci si rialza con rapidità. E’ uno
dei momenti più “felici” della mia giornata; competo con i virgulti e
non sfiguro.
Qui devo amaramente rendermi conto che la mia “attenta” preparazione sta
cadendo su un dettaglio. Un’unghia del piede sta rasoiando il dito a
lato e il male aumenta ad ogni passo qui dove le sollecitazioni sono
evidenti.
Luca e Gigi allungano. Io resto con Ale che è ancora sofferente.
A Pratogrande, sulla Provinciale che collega casella a Montoggio
troviamo il successivo punto di controllo.
La sosta mi permette un rapido intervento sull’unghia ma parte del danno
è ormai fatto. Sono le 9, minuto più minuto meno. Si può chiamare casa
per aggiornare sugli eventi.
Ale con sguardo mortificato comunica di non farcela: chiama casa per
farsi venire a prendere. Lo salutiamo e ripartiamo.
Passiamo vicino al supermercato Di Meglio di Avosso: qui vediamo un
nutrito gruppo di atleti pronti alla partenza del Trial dell’Antola, 22
Km di corsa sul nostro stesso percorso.
C’è anche di peggio: due ore dopo il nostro orario di partenza dal Righi
sono partiti quelli che la Rigantoca la fanno di corsa.
Torniamo a noi. Un componente dell’organizzazione ci indica il percorso.
Successivamente potrò individuare il sentiero, sulla cartografia IGM,
che taglia a perpendicolo le curve di livello. Di questa caratteristica
me ne accorgo subito sia per le gambe che si imballano, il fiato corto,
tanti altri nelle mie condizioni. Al limite del melodramma tiro fuori
una di quelle frasi ad effetto “Ragazzi, voi andate pure. Lasciatemi
indietro ma voi due non dividetevi mai” se avessi aggiunto di lasciarmi
una pistola con un solo colpo avrei raggiunto il massimo della
drammaticità ma non era il caso di strafare.
In effetti Luca e Gigi ci mettono poco ad andare io, invece, sono nella
crisi più nera. Ogni passo è pesante, lento e difficile. La salita si
rende poi più lieve ma non è che stia meglio. Intanto è iniziato a piovere.
Raggiungo la Cappelletta di Gorra: punto di ristoro. Lì rivedo Luca e
Gigi che hanno finito il ristoro e che stanno per ripartire. Li rivedrò
dopo più di sei ore.
Mi prendo qualcosa da mangiare e riparto non prima di indossare la
cerata. La terrò sin quasi la fine.
Sono un po’ sconfortato. Chiamo mia moglie dal cellulare per cercare
sostegno morale. Mi viene dato ma non è che mi aiuti poi tanto.
La strada è asfaltata per un buon tratto. Recupero un po’ di ritmo e
gamba. Ormai vado da solo, qualche tratto insieme ad altre persone con
cui si fanno comuni ricerche su chi o cosa ci ha convinto a fare questa
esperienza.
Cascinette, Fasciou, passando vicino ad un tiro al piattello e si arriva
alla Cappelletta di Banca (853 s.l.m. e punto di controllo). Quasi in
contemporanea la punzonatura mia e quella di Martino, un ex capo scout
di mio figlio che la Rigantoca la fa di corsa e mi ha già raggiunto. La
pioggia è insistente, le nuvole incombenti senza segni di spiragli di
sole e fa anche un po’ freddo.
Si riprende con passo lento e dolente. Un breve strappo con lo sguardo
angosciato che vede il sentiero svilupparsi malignamente verso la
massima pendenza. Pochi passi e, invece, il segnavia FIE gira
decisamente a sinistra con un andamento più accessibile alle mie
performance del momento.
Il tracciato si snoda alto con momenti di vista sulla Valbrevenna.
Piani (con ristoro dove vengono offerte anche cose tipiche del posto:
formaggetta e salame) – Crosi (877 s.l.m.) e poi, deviando dal sentiero
FIE, verso la Madonna della Guardia di Pentema.
Qui punto di controllo e ristoro con una piacevole aggiunta: brodo caldo
che bevo gustandolo un sorso alla volta.
Riprendo sempre lentamente, non sono pochi quelli che mi superano e che
mi ringraziano per la gentilezza con cui mi fermo e mi accosto.
Sapessero che mi danno solo la scusa di rifiatare forse non mi
ringrazierebbero.
Il mio corpo sembra dirmi “Idiota, ma era necessario tutto questo?”.
Qui trovo l’unico neo dell’organizzazione. Il tratto di rientro nel
sentiero principale non è molto chiaro e ad un bivio io e altri siamo in
dubbio su che parte scegliere.
Scegliamo quella giusta, cosa che, scoprirò, non è stata fatta da altri
che, con percorso circolare, sono tornati alla Madonna di Pentema.
Cappelletta del Colletto – Case Piccetto. Dopo ore di cammino mi arriva
uno stimolo quasi dimenticato: devo fare pipì.
Nessuno in vista, energia per allontanarmi dal sentiero assente. “Faccio
veloce”, penso. Quasi in conclusione alla mia minzione, silenzioso come
un Apache all’assalto del fortino, compare un concorrente….. mi scuso
più volte ma quello neanche mi risponde. Ma vaff……
Agevolmente, si fa per dire, arrivo all’area picnic che il profilo
altimetrico indica come inizio della inclinata rampa di attacco
all’Antola. Per la prima volta, dopo ore e più di 36 km, mi siedo sul
tavolo, appoggio lo zaino e mi tolgo la cerata per non metterla più.
Mi ristoro adeguatamente: sali minerali, acqua, frutta disidratata,
albicocche.
Pochi minuti e riparto. Sarà per il carburante appena ingurgitato, il
traguardo che si avvicina, il percorso meno ripido di quanto credevo ma
la gamba è più sciolta e salgo più rapido.
Punto di ristoro e poi punto di controllo alla Cappelletta dell’Antola.
Qui mi indirizzano direttamente verso il sentiero per Caprile. “Ma come,
non bisogna passare per la vetta dalla croce?” No, non bisogna. La
guardo passando più in basso con lo stesso spirito con cui l’equipaggio
dell’Apollo 13 guardò la superficie lunare senza potervici posare sopra.
Breve tratto in piano e poi inizia un’altra discesa rompicollo. Ogni
passo il piede “surfa” sul fango per 10, 20, 40 cm e i bastoncini sono
indispensabili. Le articolazioni sono più che sollecitate. Se, come
credo, ho un menisco un po’ andato… delle due l’una: o lo stronco o va a
posto.
Pare prevalere la seconda.
La discesona si trasforma in quella che, con grande ottimismo, può
essere definita una strada sterrata. La può percorrere solo un trattore
votato ad una rapida demolizione.
Un signore più anziano è il mio ultimo compagno di viaggio.
I tratti fangosi sono frequenti. Si passa più a destra, centro o
sinistra in funzione di dove c’è meno fango. In alcuni passaggi non c’è
scelta: è fango ovunque. Un fango infido, molle, colloso, che aumenta
gli sforzi dei già provati muscoli.
Il signore di cui sopra è pochi metri dietro di me e mi chiede: “Scusi,
ma è suo questo?” e solleva dal fango una suola Vibram di uno
scarponcino. “Direi di no, me ne sarei accorto” e mentre lo dico sollevo
il piede destro. Tutto a posto. “Perché sa, è proprio dove aveva messo
il piede lei”. Il controllo del piede sinistro fa esplodere la
situazione tragicomica.
SI!!! Dopo quasi ventanni di onorato servizio i miei Asolo mi hanno
abbandonato..
Ma non del tutto. La considerazione che verrà dopo è la “fortuna” che
abbiano ceduto nell’ultimo tratto. Fosse successo prima avrei dovuto
abbandonare e le balle sarebbero girate. E poi la soletta e la tomaia
dello scarponcino reggono egregiamente. Certo, il grip è totalmente
assente. Rischio spesso la scivolata e una volta la ginocchiata per
terra è fortunatamente nel morbido fango.
Gli ultimi 2-3 km sono un tormento, passo lento e circospetto.
Importante il senso di stabilità che i bastoncini mi garantiscono.
L’anziano compagno di viaggio mi ha lasciato solo. Vedo i tetti di
Caprile. Finalmente. Entro nel paese.
Quella che doveva essere la cavalcata finale verso il traguardo diventa
invece l’apoteosi del tragicomico. Il percorso finale, gli ultimi 200
metri, si materializza sotto forma di una stradina in cemento lisciato,
di quelli con righe marcate a lisca di pesce. Il piede destro non tiene
a causa del fango sotto la scarpa, del piede sinistro già sapete, i
bastoncini sul cemento non fanno presa. Cammino rigido come quei mimi
che imitano i robot (qualcuno si ricorda di Zed?). Una coppia di ragazzi
che risalgono la via e mi incoraggiano e pensano che l’andatura dipenda
dai muscoli induriti. Quando gli accenno i motivi e vedono la suola
distaccata nella mia mano si allontanano ridendo.
Vedo altri partecipanti, ormai rilassanti, impegnati a sciacquarsi la
roba in un trogolo. L’arrivo deve essere veramente vicino.
Giro un angolo e vedo Luca e Gigi. Sorridono felici
Mi accompagnano all’ultima punzonatura….. n. 259….. arrivo alle 16. 11
ore di cammino per più di 43 chilometri.
Il resto è rifocillarmi nel locale messo a disposizione. Riprovare a
sentire la docilità del mio corpo che, invece, continua a maledirmi.
Pochi minuti e si deve andare al rendez-vous con il pullman che ci
riporterà a Prato.
Luca si siede accanto a me. Dopo un po’ appoggia la testa sulla mia
spalla e si addormenta. Solo per questo ne è valsa la pena.
A Prato troviamo Nico che ci è venuto a riprendere. Ciabatte per tutti e
appuntamento con gli altri della famiglia e gruppo scout alla fine della
messa delle 18.
Da li in poi il racconto si ripete e arricchisce di particolari.
Oggi, a distanza di giorni, ho fatto un armistizio con il mio corpo dopo
i primi 3-4 giorni di scaramucce.
Non sono più così tanto convinto di non rifarla.
Interessa a qualcuno?
Gian Carlo