LG
2008-09-08 15:19:22 UTC
da ilsalvagente.it
MEGATRUFFA: IL FORMAGGIO AVARIATO FINIVA NELLE BUSTE DI GRATTUGIATO
La Procura di Piacenza continua le indagini di Cremona. Coinvolte marche
famose come Galbani, Biraghi e Prealpi. Alcune di esse smentiscono.
Ritiravano tonnellate di scarti di formaggio avariato da grandi aziende e
lo riciclavano in gran parte come formaggio grattugiato, venduto ad aziende
che lo confezionano in buste dai nomi famosi come Galbani, Ferrai,
Meneghini, o direttamente al cliente finale come Biraghi o Prealpi. La
Biraghi nega, con un comunicato stampa, di essere coinvolta nelle indagini.
Lo stesso fa la Galbani, mentre la Granarolo, chiamata in causa in maniera
indiretta, con una lettera a Repubblica precisa di aver "sempre fornito a
Delia S.p.A., società in possesso delle prescritte autorizzazioni,
nell'ambito di regolare rapporto contrattuale, prodotti con caratteristiche
e qualità assolutamente idonee, oltre che conformi alla normativa vigente
per l'alimentazione umana, al solo fine della successiva trasformazione
industriale. Tali prodotti - continua la lettera - erano sempre in regola
con le date di scadenza, in corretto stato di conservazione ed in regolari
condizioni igienico sanitarie". La Granarolo, a tesimonianza della sua buona
fede, assicura di non essere stata neppure ascoltata dai magistrtai
inquirenti.
Tocca a loro, comunque, dire l'ultima parola e separare i buoni dai cattivi,
in questa orribile vicenda che ha abusato della fiducia dei consumatori.
Inchiesta sconvolgente
E' sconvolgente, comunque, la seconda tranche dell'inchiesta sullo "spaccio"
dei formaggi avariati, iniziata due anni fa a Cremona e continuata ora dai
magistrati di Piacenza e dal Pm piacentino Antonio Colonna, riportata
stamattina da alcune anticipazioni del quotidiano la Repubblica e di Rainews
24. Ma dell'inchiesta di Cremona si era, a suo tempo, occupato con dovizia
di particolari anche il settimanale Il Salvagente (vedi articolo allegato).
Tutto ruota intorno a Delia SpA
La novità dopo la prima tranche dello scandalo sui formaggi adulterati che
ha scosso l'industria alimentare italiana, è tutta nell'ultimo nome che
emerge dalle carte della guardia di Finanza di Cremona. La Delia Spa, ditta
specializzata nella produzione e commercializzazione di prodotti a base di
latte destinati all'industria alimentare e lattiero casearia, con sede a
Monticelli d'Ongina (Piacenza).
Sarebbe proprio la Delia, il pezzo finale dell'inchiesta di Cremona che già
all'inizio di luglio aveva portato alla luce un traffico sconcertante:
11mila tonnellate di formaggi andati a male ma venduti in totale spregio
della legge e della salute dei consumatori.
Alimenti (difficile davvero chiamarli così) che contenevano di tutto: vermi,
escrementi di topi, pezzi di ferro, residui di plastica tritata, muffe,
inchiostro. Questi scarti da smaltire, destinati a uso zootecnico,
diventavano invece fette per toast, formaggio fuso, mozzarelle, formaggio
grattugiato, provola, stracchino, gorgonzola, e finivano nei supermercati
italiani e europei.
Filiali dalla Spagna al Regno Unito
Un pezzo da 90, la Delia, con filiali sparse dalla Spagna al Regno Unito
che, secondo gli inquirenti, si occupava di triangolare e riciclare il
formaggio avariato della Tradel e della Megal (le aziende di proprietà di
Domenico Russo chiuse dalla guardia di finanza nel giugno 2007) di cui
figurava come cliente e fornitore. E tra i fornitori della Delia, c'erano
big del calibro di Kraft e Granarolo.
Collegamento con le due aziende finite nella rete degli inquirenti Alberto
Aiani, imprenditore molto noto a Cremona, originario di Partitico, in
Sicilia, proprio come Domenico Russo.
È lui il proprietario della Delia, l'azienda presso la quale i finanzieri
hanno sequestrato 80 tonnellate di prodotti scaduti. Nella sua azienda, tra
l'altro, sono stati trovati due timbri sanitari della Asl lasciati da un
veterinario connivente (Luciano Dall'Oglio) che risulta indagato e sul cui
carico pesano alcune intercettazioni che dimostrerebbero la connivenza del
funzionario che teneva rapporti con il direttore della fabbrica (Francesco
Marinosci ex comandante della stazione dei carabinieri di Casalbuttano (il
paese dove aveva sede la Tradel).
Ancora in piena attività
La cosa preoccupante, secondo l'inchiesta di Repubblica e Rainews 24, è che
la Delia è ancora in piena attività. Nessun provvedimento cautelare è stato
emesso nei confronti della ditta o dei suoi proprietari o, ancora del
veterinario compiacente, dato che il Gip ha stralciato questa parte delle
indagini per trasferirla al procuratore di Piacenza Antonio Colonna (per
competenza). E per tutto agosto non è stata presa nessuna misura.
LA PRIMA TRANCHE: L'INCHIESTA DI CREMONA
Lorenzo Misuraca
Sullo scandalo dei formaggi avariati di Cremona, che all'inizio di luglio è
finito su tutti i giornali, non tutto è stato detto. A cominciare dai nomi
dei prodotti sospetti ritrovati sugli scaffali di negozi e supermercati. Le
foto e i video della Guardia di Finanza, ripresi da "Repubblica" e da
Rainews 24, mostravano prodotti caseari totalmente ricoperti da muffe,
escrementi di topi, frammenti di plastica, all'interno di un'azienda di
trasformazione a Casalbuttano, vicino a Cremona. Ai consumatori scioccati è
stato raccontato nei dettagli il meccanismo con cui la Tradel e la Megal (le
due aziende di Domenico Russo, chiuse nel giugno 2007) riciclavano formaggio
andato a male per rimetterlo in commercio, invece di smaltirlo o destinarlo
agli animali. Sono venuti fuori i nomi delle grosse ditte che mandavano il
materiale scaduto alla Tradel (con qualche sbaglio, come nel caso della
Granarolo, erroneamente inserita nella lista delle aziende coinvolte). Ma
sulla destinazione finale di quei prodotti, pericolosi per la salute dei
consumatori, nemmeno una parola.
Un silenzio imbarazzante che non ci ha convinti. E che ci ha spinti a
lavorare ancora su uno scandalo dai troppi lati oscuri. A partire dal ruolo
di molte grandi industrie italiane.
Elenco da brividi
Andiamo con ordine. Il prodotto avariato, una volta "ripulito", veniva
venduto al cliente finale, che lo metteva in commercio come formaggio fuso,
simile alle sottilette, e come gran mix, confezioni di formaggio
grattugiato. In alcuni casi, addirittura, i prodotti venivano lavorati senza
fusione o pastorizzazione, e quindi senza alcuna sanificazione, con tutto il
carico di potenziali rischi per chi li avrebbe consumati. Come se non
bastasse, a volte un prodotto, se invenduto o scaduto, veniva rimandato alla
Tradel che lo riciclava per la seconda volta.
Ma chi sono questi "clienti finali" che poi piazzavano i prodotti nei
supermercati? Sono 27 le ditte principali, di cui 14 straniere, tra
olandesi, francesi, austriache, spagnole, belghe e tedesche. Va chiarito che
questi clienti finali erano inconsapevoli dell'origine del materiale
caseario acquistato da Russo. Sarebbero, insomma, state truffate, anche se
nei loro confronti è lecito ipotizzare per lo meno una superficialità di
controlli, almeno per i casi in cui i formaggi arrivavano ancora col loro
carico di tossine e muffe.
Tra i clienti italiani, che non risultano tra i fornitori, ci sarebbero:
Prealpi Spa di Varese (che produce formaggi freschi, burro e mix di formaggi
grattugiati a proprio marchio), Dalì Spa di Treviso (produttrice dei
tortellini Dalì), Emilio Mauri Spa di Lecco (con i formaggi freschi e
stagionati a marchio Mauri), e Integrus Srl di Treviso (che produce
crespelle al prosciutto e formaggio, con marchio proprio).
C'è poi l'elenco delle aziende sia fornitrici che clienti della Tradel. Tra
queste ultime la Lactalis (che in Italia commercializza formaggi Galbani,
President, Invernizzi, Locatelli, Cademartori), Fallini Formaggi Srl di
Reggio Emilia (che produce formaggi grattugiati con i marchi Fallini, Casa
Emilia, Italiana Formaggi, Real Parma e Margaldo), e Sic.Al di Partinico.
Purtroppo l'elenco non si esaurisce qui. E continua con i fornitori della
Tradel: Brescialat, Caseificio Castellan Urbano, Euroformaggi, Industria
casearia Ferrari Giovanni, Frescolat, Giovanni Colombo Spa, Igor Srl,
Industria agricola casearia Meneghini, Venchiarini società cooperativa, e
Centrale del latte di Firenze, Pistoia, Livorno. Su quest'ultima, in
particolare, gli inquirenti hanno trovato documentazione che testimonierebbe
un atteggiamento "disinvolto". La ditta, infatti, avrebbe inviato alla
Tradel prodotti scaduti già da due mesi, in evidente stato di fermentazione.
Smaltiti... in tavola
Alla Galbani, gli inquirenti dedicano un capitolo a parte. Quello della
Egidio Galbani Spa è stato uno dei primi nomi a finire sui giornali come
possibile corresponsabile della frode al cui centro stava Domenico Russo.
Coinvolte nelle indagini sono infatti due aziende della Lactalis Italia Spa:
la Egidio Galbani e la Big Srl. La Galbani vendeva a Tradel prodotti
semilavorati, per lo più scarti di produzione e residui di lavorazione. La
Big forniva prodotti confezionati, invenduti o ritirati dal mercato perché
scaduti o per problemi qualitativi o d'imballaggio. L'azienda ha smentito
prontamente qualsiasi coinvolgimento nell'inchiesta e lo fa anche
nell'intervista del suo amministratore delegato che compare in queste
pagine. Dall'inchiesta, però, emergono aspetti inquietanti a carico di
alcuni suoi dipendenti.
Due fatti, per esempio, sono documentati attraverso riscontri documentali e
intercettazioni. Il primo dimostra come diversi prodotti, inviati nel 2004 e
2005 da Galbani a Tradel con etichetta cagliata a uso zootecnico, e dunque
non utilizzabili per produrre formaggi destinati all'uomo, nel 2006 vengono
inviati con lo stesso codice, ma con una dicitura generica, "cagliata", che
permette l'impiego del materiale anche per trasformazione alimentare. Un
errore? Le ipotesi degli inquirenti non sembrano avvalorare questa
sensazione e si basano su alcune mail di richiesta esplicita di cambio di
etichetta, circolate in azienda.
Non solo. A carico della Galbani c'è l'invio di croste di gorgonzola
rinominate come "residuo di produzione lattiero casearia per
trasformazione". Già nel 2002, infatti, il disciplinare relativo al
formaggio gorgonzola Dop stabiliva che la crosta non può essere destinata a
prodotti commestibili, perché potenzialmente portatrice del batterio
listeria, in grado di causare meningite in soggetti immunodepressi. Deve
dunque essere smaltita, ma non può essere riciclata neppure per mangimi
animali. Eppure, dai documenti acquisiti dagli inquirenti risultano arrivate
alla Tradel decine di tonnellate di croste di gorgonzola, rinominate per
aggirare l'obbligo di smaltimento.
Dal settimanale "Il Salvagente", luglio 2008
''Formaggi&truffe'': qualcuno aprirà gli occhi?
Riccardo Quintili
Sentiremo anche questa volta ripetere - come è già successo all'inizio
dell'estate, quando uscì la prima tranche dell'inchiesta sui formaggi
avariati - che "i consumatori possono stare tranquilli" e che "si tratta di
episodi limitati che non debbono mettere in discussione la qualità del made
in Italy"?
Sinceramente ci auguriamo di no. Speriamo di non assistere alle
dichiarazioni di routine di ministri e industriali. Perchè anche coloro che
vogliono a tutti i costi tenere gli occhi chiusi, oggi dovrebbero prendere
atto che quella che il Salvagente aveva definito la "Premiata ditta
formaggi&truffe" è qualcosa di più di un'associazione di piccoli truffatori.
Grazie all'inchiesta di Repubblica e Rainews24, emerge un sistema che grazie
alla compiacenza o alla malafede dei più grandi gruppi industriali italiani,
ha portato migliaia di tonnellate di "merda" (così la chiamavano nelle
intercettazioni i truffatori) dagli scaffali dei supermercati nelle nostre
case, nei nostri piatti. Si può dubitare delle responsabilità di un intero
comparto produttivo, dopo che sono usciti nomi del calibro di Galbani,
Granarolo, Kraft, Ferrari, Meneghini? No, non si può dubitare.
Innanzitutto perché a vendere gli scarti di produzione (invece di smaltirli,
pagando) erano proprio loro. Non basta, in alcuni casi - come testimoniano
chiaramente le indagini - alcune di queste ditte sapevano esattamente cosa
accadeva negli stabilimenti di Domenico Russo (titolare della Tradel,
l'azienda degli orrori in cui sono state sequestrate tonnellate di formaggi
scaduti, mescolati a plastica e perfino a escrementi di topi). Nel migliore
dei casi, anche quando le aziende, senza sospettarne lo stato, comperavano
semilavorati dai truffatori, è mai possibile ipotizzare che nessuno si
accorgesse di nulla? No, in un paese che stabilisce ferrei controlli di
qualità come il nostro, dove esistono regole perfino per l'Haccp per le
produzioni artigianali, non è possibile. A meno di non dover sospettare che
le regole fossero prese a cuor leggero.
Il quadro delle responsabilità è talmente chiaro, ora, che sarà difficile
negarlo. Sempre che non si voglia dare la spallata finale a quel "made in
Italy" che molti dicono di voler difendere a tutti i costi.
La sottosegretaria giura: ''avariati, ma non fanno male''
Nota "spericolata" di Francesca Martini. Serie di prese di posizione
critiche col governo.
"Delia, Tra.De.I., Megal sono i nomi delle aziende che riciclano il
formaggio avariato e poi lo rimettono nella catena alimentare con la
complicità degli organi di controllo e che rappresentano uno dei cancri
dell'agroalimentare italiano". È quanto sostiene in una nota Antonio
Mattioli, segretario nazionale del sindacato degli alimentaristi Cgil
(Flai-Cgil)
E Mattioli aggiunge: "Un paese che soffre gli effetti di un sistema
industriale debole, che non valorizza le proprie risorse, che non investe
sulla qualità, esce massacrato da vicende come quella del formaggio
alterato, che si aggiunge alle frodi sulla mozzarella inquinata, sul
pomodoro marcio, sul vino adulterato, sul grano al piombo. Invece di
vanificare, alienare, reprimere, il lavoro di soggetti che fondano la
propria presenza sul mercato in questo modo, si ha la netta sensazione di
essere alla presenza di un loro radicamento nel comparto agroalimentare
italiano". "Ora - continua Mattioli - si griderà allo scandalo per qualche
ora, qualche giorno se va bene, anche grazie alla denuncia di qualche
giornale, ma poi tutto tornerà nella 'normalità' ed i consumatori
continueranno a non sapere cosa mangiano, a non sapere se la salubrità degli
alimenti è garantita. Non si può più continuare in questo modo!".
Contro il silenzio complice
"Le imprese - sottolinea il segretario della Flai - la devono smettere di
continuare a muoversi in un silenzio complice, le istituzioni e gli
organismi competenti devono svolgere il ruolo che gli compete, la
distribuzione deve pretendere la certificazione che attesti la
rintracciabilità della materia prima, la certificazione della filiera e la
garanzia della salubrità del prodotto. Come sindacato da anni lanciamo
denunce e grida nel vuoto ed a malapena siamo ascoltati solo quando scoppia
il caso".
"Per l'agroalimentare italiano - conclude Mattioli - sta suonando il
campanello d'allarme: il made in Italy sta prendendo sberle da paura e gli
attori della filiera cominciando ad assomigliare a pugili suonati che a
malapena riescono a stare in piedi. Rimbocchiamoci le maniche, ripartiamo
dalle risorse a disposizione, qualifichiamo il lavoro combattendo illegalità
e sfruttamento, impegniamoci a sostenere accordi di filiera che garantiscano
qualità-certificazione-rintracciabilità-salubrità della materia prima e dei
prodotti e la sostenibilità dei prezzi, si faccia programmazione, si investa
sul futuro dell'agroalimentare, superando in questo modo complicità, omertà,
connivenze, competizione sleale".
Zaia minimizza
Se il sindacato si allarma, il ministro delle Politiche agricole (in linea,
del resto, con quanto hanno fatto tutti i suoi predecessori sia di
centro-destra che di centro-sinistra, cerca di minimizzare). Pronto a
dichiarare su tutto anche due volte al giorno, stavolta si affida a un
commento del suo portavoce, in base al quale "Il prodotto agroalimentare
italiano è sicuro e certificato al 95%, i prodotti sugli scaffali non sono
in alcun modo pericolosi, nel nostro paese i controlli sono efficaci e
tempestivi, e lo dimostra proprio l'emergere d'inchieste di questo tipo".
Come a dire: "Si parla di "marcio" proprio perché noi lo staniamo. Siamo
sicuri che è così?
La sottesegretaria assicura che "non fanno male"
L'immissione sul mercato, da parte di alcune aziende, di partite di
formaggio avariato, pur essendo un fatto molto grave, non comporta un
pericolo per la salute. Parola della sottosegretaria alla Salute, Francesca
Martini, che sottolinea di "essere intervenuta sull'argomento in questione
già dal 4 luglio", ricordando di aver richiesto, "per il tramite della
competente Direzione Generale della Sicurezza degli alimenti e della
nutrizione, informazioni alla Procura di Cremona allo scopo di procedere
all'eventuale ritiro dal commercio dei prodotti e di assolvere all'obbligo
comunitario di attivazione del Sistema di allerta rapido così come prevede
il Regolamento Ue 178/2001".
Lo scaricabarile del ministero
"Al riguardo - continua la nota della Martini - il 4 agosto la Procura ha
comunicato di non poter essere nelle condizioni di fornire quanto richiesto
poiché la fase delle indagini preliminari non era ancora conclusa e pertanto
qualsiasi informazione sull'indagine era sottoposta al vincolo del segreto
istruttorio".
Tuttavia, fa notare Francesca Martini, "si ha motivo di ritenere che, se la
stessa Procura avesse ravvisato un rischio per la salute pubblica, avrebbe
tempestivamente attivato le procedure del sistema di allerta, attraverso gli
Uffici competenti del Ministero del Lavoro, Salute e politiche sociali,
quale punto di contatto comunitario". Ma questa è una "forzatura" di comodo.
La magistratura, infatti, nulla può dire prima di aver concluso i suoi
accertamenti, è l'autorità politica che può intervenire a scopo
precauzionale. Non si può criticare da un lato la magistratura perché
"interviene su tutto" e dall'altro invocarne un ruolo di supplenza quando fa
comodo.
I Nas all'opera da luglio
Il sottosegretario ricorda inoltre "di aver già disposto un intervento del
Nas fin dal mese di luglio su tutte le ditte che intrattenevano rapporti
commerciali con quelle oggetto di indagine da parte della Procura di Cremona
e di aver chiesto analoghe verifiche a livello internazionale.
Sono state disposte ispezioni congiunte tra il Ministero e le Regioni presso
gli stabilimenti del settore lattiero caseario che prevedono, tra l'altro,
la verifica delle procedure che i servizi, responsabili del controllo
ufficiale devono predisporre".
A livello comunitario, la Martini ha sollecitato "un intervento normativo
sul settore in considerazione dell'estensione del problema che ha investito
anche altri Paesi comunitari. E' evidente - sottolinea - che tali pratiche
fraudolente ancorché non abbiano messo a repentaglio la salute dei
cittadini, creano comunque allarme oltre che atteggiamenti di sfiducia nei
consumatori, danneggiano le aziende che operano sul mercato correttamente e
minano il buon nome del nostro Paese in materia di qualità e sicurezza
alimentare".
Anna Bartolini: "Sconvolta, ma non stupita"
"Quanto continua ad accadere nel settore della sofisticazione dei formaggi
mi lascia sconvolta, anche se non completamente stupita". Questa la prima
reazione di Anna Bartolini,una delle leader storiche dei consumatori
italiani, rappresentante al Consiglio Europeo dei Consumatori, che ci spiega
come il motivo principale per cui continuano ad accadere questo genere di
truffe è soprattutto la mancanza di contromisure adeguate.
"Si dovrebbero punire questi reati con la reclusione, e considerare i
protagonisti di queste vicende come veri e propri criminali. Le multe e le
sanzioni pecuniarie, considerando anche i notevoli fatturati delle aziende,
non sono più un efficace deterrente. Sulla salute dei consumatori non c'è da
scherzare, e - per intervenire - non si dovrebbe aspettare che qualcuno
rischi la vita".
Gli interventi mancati
Dato che si parla di interventi, sembra proprio questo uno dei punti più
sconcertanti della storia, i controlli "conniventi" dei veterinari delle
Asl. Ci si chiede perché chi dovrebbe controllare non lo fa, quali siano i
soggetti che dovrebbero intervenire in merito.
Giusto oggi Giampiero Beltotto, portavoce del Ministro delle Politiche
agricole Luca Zaia, ha dichiarato, intervistato sulla questione dei
formaggi, che il 95% dei prodotti agroalimentari italiani è sicuro, che i
controlli ci sono, e proprio queste ultime inchieste confermerebbero i
risultati raggiunti.
"Le autorità che si occupano di questo settore dovrebbero forse intervenire
con una mano più sicura, e il ripetersi di questi episodi è la conferma che
qualcosa non va. Tanto il ministero, quanto l'Autorità europea per la
sicurezza alimentare, dovrebbero forse riflettere su questo, e sulle
contromisure adeguate da adottare".
La Usl di Piacenza: il veterinario incolpato non lavora più ai formaggi
Col passar delle ore, si infittiscono le reazioni sul nuovo scandalo
alimentare italiano, nonostante il tentativo che arriva da più parti di
mettergli la srodina. Arriva, così, la replica dell'azienda Usl di Piacenza
in merito alle presunte connivenze per i controlli nella ditta casearia
indagata: "A tutt'oggi l'Azienda Usl di Piacenza non ha assunto alcun
provvedimento poiché non ha avuto comunicazione né sulle indagini né sul
coinvolgimento del proprio dipendente che, per altro, dal settembre 2007 non
è più addetto alla vigilanza dei prodotti caseari».
Per il momento, dunque, l'azienda non si è mossa nei confronti del
veterinario coinvolto nell'indagine, anche perché la stessa Asl spiega di
aver appreso "in data odierna dalla stampa nazionale che un proprio
dipendente risulterebbe coinvolto in un procedimento penale aperto a carico
di una ditta della provincia di Piacenza che produce formaggi fusi".
L'attività di vigilanza - precisa inoltre l'azienda sanitaria - è
regolarmente svolta dai servizi veterinari dell'Asl, in collaborazione con
altri Istituti; e a tutt'oggi, i controlli non hanno rilevato particolari
anomalie. Quanto, invece, al sequestro dei timbri di competenza "sono in
corso le procedure disciplinari secondo quanto previsto dalla normativa
vigente".
Codacons: risarcire i consumatori
Il Codacons chiede, invece, che si risarciscano subito i consumatori.
"Ancora una volta ci troviamo di fronte a un gravissimo scandalo alimentare,
che danneggia i consumatori e mina seriamente la credibilità del made in
Italy":sottolinea in una nota il presidente del Codacons, Carlo Rienzi, che
sollecita interventi urgenti: "Dopo uova, mozzarella, passate di pomodoro,
olio, vino, carne e latte, ora è il turno del formaggio grattugiato
realizzato con scarti, prodotti scaduti o avariati, vermi ed escrementi di
topo. I consumatori che hanno acquistato formaggi dalle ditte che
utilizzavano tali scarti devono essere risarciti per i rischi alla salute
corsi - prosegue Rienzi - e i responsabili della truffa devono essere
pesantemente puniti ipotizzando a loro carico reati contro la salute della
collettività".
Partito democratico: cosa ha fatto l'Ispettorato addetto ai controlli?
Un'interrogazione parlamentare sulla truffa del formaggio avariato scoperta
dalla Fiamme Gialle e sull'attività dell'Ispettorato per il controllo della
qualità dei prodotti alimentari (l'ex Ispettorato repressione frodi) è stata
presentata da Elisabetta Zamparutti, deputata radicale del Pd, e rivolta ai
ministri dell'Agricoltura e del Welfare. "Esiste - afferma la Zamparutti -
un Ispettorato centrale per il controllo della qualità dei prodotti
agroalimentari presso il Ministero delle politiche agricole. L'Ispettorato
dovrebbe avere 'funzioni inerenti alla prevenzione e repressione delle
infrazioni nella preparazione e nel commercio dei prodotti agro-alimentari e
delle sostanze di uso agrario o forestale, al controllo di qualità alle
frontiere e, in genere, al controllo nei settori di competenza del
Ministero, compresi i controlli sulla distribuzione commerciale non
espressamente affidati dalla legge ad altri organismi".
Di fronte ai fatti scoperti dalla Guardia di Finanza e denunciati oggi da
alcuni media (tra cui il nostro), Elisabetta Zamparutti chiede: "cosa abbia
fatto finora l'Ispettorato e se il Ministro intenda attivarlo e come.
Esistono spesso strutture presso le nostre amministrazioni lasciate sopire a
totale danno dei consumatori".
Silvana Mura (Italia dei Valori): "Smentito il ministero"
"Il nuovo caso di truffa alimentare smentisce la risposta del ministro della
Salute alla mia interrogazione del 10 luglio". Così Silvana Mura, deputato
dipietrista e membro della commissione Affari Sociali dopo la scoperta della
truffa sul formaggio grattugiato. "Il 10 luglio scorso - afferma Mura -
avevo presentato un'interrogazione su un altro grave caso di contraffazione
alimentare verificatosi in provincia di Cremona, chiedendo al ministro della
Salute di attivarsi. Nella risposta illustrata dalla sottosegretaria
Francesca Martini il ministero affermava testualmente che non risultava
fossero in commercio prodotti che potessero costituire un pericolo per la
salute, e che non esisteva oggi, come non esisteva prima, un rischio per la
salute riguardante prodotti commercializzati a livello nazionale. Una
risposta che, purtroppo, si rivela clamorosamente falsa perchè viene
smentita dalla scoperta di questa ennesima truffa. Ci auguriamo che almeno
ora il ministero della Salute vorrà attivarsi in maniera seria ed
efficiente".
MEGATRUFFA: IL FORMAGGIO AVARIATO FINIVA NELLE BUSTE DI GRATTUGIATO
La Procura di Piacenza continua le indagini di Cremona. Coinvolte marche
famose come Galbani, Biraghi e Prealpi. Alcune di esse smentiscono.
Ritiravano tonnellate di scarti di formaggio avariato da grandi aziende e
lo riciclavano in gran parte come formaggio grattugiato, venduto ad aziende
che lo confezionano in buste dai nomi famosi come Galbani, Ferrai,
Meneghini, o direttamente al cliente finale come Biraghi o Prealpi. La
Biraghi nega, con un comunicato stampa, di essere coinvolta nelle indagini.
Lo stesso fa la Galbani, mentre la Granarolo, chiamata in causa in maniera
indiretta, con una lettera a Repubblica precisa di aver "sempre fornito a
Delia S.p.A., società in possesso delle prescritte autorizzazioni,
nell'ambito di regolare rapporto contrattuale, prodotti con caratteristiche
e qualità assolutamente idonee, oltre che conformi alla normativa vigente
per l'alimentazione umana, al solo fine della successiva trasformazione
industriale. Tali prodotti - continua la lettera - erano sempre in regola
con le date di scadenza, in corretto stato di conservazione ed in regolari
condizioni igienico sanitarie". La Granarolo, a tesimonianza della sua buona
fede, assicura di non essere stata neppure ascoltata dai magistrtai
inquirenti.
Tocca a loro, comunque, dire l'ultima parola e separare i buoni dai cattivi,
in questa orribile vicenda che ha abusato della fiducia dei consumatori.
Inchiesta sconvolgente
E' sconvolgente, comunque, la seconda tranche dell'inchiesta sullo "spaccio"
dei formaggi avariati, iniziata due anni fa a Cremona e continuata ora dai
magistrati di Piacenza e dal Pm piacentino Antonio Colonna, riportata
stamattina da alcune anticipazioni del quotidiano la Repubblica e di Rainews
24. Ma dell'inchiesta di Cremona si era, a suo tempo, occupato con dovizia
di particolari anche il settimanale Il Salvagente (vedi articolo allegato).
Tutto ruota intorno a Delia SpA
La novità dopo la prima tranche dello scandalo sui formaggi adulterati che
ha scosso l'industria alimentare italiana, è tutta nell'ultimo nome che
emerge dalle carte della guardia di Finanza di Cremona. La Delia Spa, ditta
specializzata nella produzione e commercializzazione di prodotti a base di
latte destinati all'industria alimentare e lattiero casearia, con sede a
Monticelli d'Ongina (Piacenza).
Sarebbe proprio la Delia, il pezzo finale dell'inchiesta di Cremona che già
all'inizio di luglio aveva portato alla luce un traffico sconcertante:
11mila tonnellate di formaggi andati a male ma venduti in totale spregio
della legge e della salute dei consumatori.
Alimenti (difficile davvero chiamarli così) che contenevano di tutto: vermi,
escrementi di topi, pezzi di ferro, residui di plastica tritata, muffe,
inchiostro. Questi scarti da smaltire, destinati a uso zootecnico,
diventavano invece fette per toast, formaggio fuso, mozzarelle, formaggio
grattugiato, provola, stracchino, gorgonzola, e finivano nei supermercati
italiani e europei.
Filiali dalla Spagna al Regno Unito
Un pezzo da 90, la Delia, con filiali sparse dalla Spagna al Regno Unito
che, secondo gli inquirenti, si occupava di triangolare e riciclare il
formaggio avariato della Tradel e della Megal (le aziende di proprietà di
Domenico Russo chiuse dalla guardia di finanza nel giugno 2007) di cui
figurava come cliente e fornitore. E tra i fornitori della Delia, c'erano
big del calibro di Kraft e Granarolo.
Collegamento con le due aziende finite nella rete degli inquirenti Alberto
Aiani, imprenditore molto noto a Cremona, originario di Partitico, in
Sicilia, proprio come Domenico Russo.
È lui il proprietario della Delia, l'azienda presso la quale i finanzieri
hanno sequestrato 80 tonnellate di prodotti scaduti. Nella sua azienda, tra
l'altro, sono stati trovati due timbri sanitari della Asl lasciati da un
veterinario connivente (Luciano Dall'Oglio) che risulta indagato e sul cui
carico pesano alcune intercettazioni che dimostrerebbero la connivenza del
funzionario che teneva rapporti con il direttore della fabbrica (Francesco
Marinosci ex comandante della stazione dei carabinieri di Casalbuttano (il
paese dove aveva sede la Tradel).
Ancora in piena attività
La cosa preoccupante, secondo l'inchiesta di Repubblica e Rainews 24, è che
la Delia è ancora in piena attività. Nessun provvedimento cautelare è stato
emesso nei confronti della ditta o dei suoi proprietari o, ancora del
veterinario compiacente, dato che il Gip ha stralciato questa parte delle
indagini per trasferirla al procuratore di Piacenza Antonio Colonna (per
competenza). E per tutto agosto non è stata presa nessuna misura.
LA PRIMA TRANCHE: L'INCHIESTA DI CREMONA
Lorenzo Misuraca
Sullo scandalo dei formaggi avariati di Cremona, che all'inizio di luglio è
finito su tutti i giornali, non tutto è stato detto. A cominciare dai nomi
dei prodotti sospetti ritrovati sugli scaffali di negozi e supermercati. Le
foto e i video della Guardia di Finanza, ripresi da "Repubblica" e da
Rainews 24, mostravano prodotti caseari totalmente ricoperti da muffe,
escrementi di topi, frammenti di plastica, all'interno di un'azienda di
trasformazione a Casalbuttano, vicino a Cremona. Ai consumatori scioccati è
stato raccontato nei dettagli il meccanismo con cui la Tradel e la Megal (le
due aziende di Domenico Russo, chiuse nel giugno 2007) riciclavano formaggio
andato a male per rimetterlo in commercio, invece di smaltirlo o destinarlo
agli animali. Sono venuti fuori i nomi delle grosse ditte che mandavano il
materiale scaduto alla Tradel (con qualche sbaglio, come nel caso della
Granarolo, erroneamente inserita nella lista delle aziende coinvolte). Ma
sulla destinazione finale di quei prodotti, pericolosi per la salute dei
consumatori, nemmeno una parola.
Un silenzio imbarazzante che non ci ha convinti. E che ci ha spinti a
lavorare ancora su uno scandalo dai troppi lati oscuri. A partire dal ruolo
di molte grandi industrie italiane.
Elenco da brividi
Andiamo con ordine. Il prodotto avariato, una volta "ripulito", veniva
venduto al cliente finale, che lo metteva in commercio come formaggio fuso,
simile alle sottilette, e come gran mix, confezioni di formaggio
grattugiato. In alcuni casi, addirittura, i prodotti venivano lavorati senza
fusione o pastorizzazione, e quindi senza alcuna sanificazione, con tutto il
carico di potenziali rischi per chi li avrebbe consumati. Come se non
bastasse, a volte un prodotto, se invenduto o scaduto, veniva rimandato alla
Tradel che lo riciclava per la seconda volta.
Ma chi sono questi "clienti finali" che poi piazzavano i prodotti nei
supermercati? Sono 27 le ditte principali, di cui 14 straniere, tra
olandesi, francesi, austriache, spagnole, belghe e tedesche. Va chiarito che
questi clienti finali erano inconsapevoli dell'origine del materiale
caseario acquistato da Russo. Sarebbero, insomma, state truffate, anche se
nei loro confronti è lecito ipotizzare per lo meno una superficialità di
controlli, almeno per i casi in cui i formaggi arrivavano ancora col loro
carico di tossine e muffe.
Tra i clienti italiani, che non risultano tra i fornitori, ci sarebbero:
Prealpi Spa di Varese (che produce formaggi freschi, burro e mix di formaggi
grattugiati a proprio marchio), Dalì Spa di Treviso (produttrice dei
tortellini Dalì), Emilio Mauri Spa di Lecco (con i formaggi freschi e
stagionati a marchio Mauri), e Integrus Srl di Treviso (che produce
crespelle al prosciutto e formaggio, con marchio proprio).
C'è poi l'elenco delle aziende sia fornitrici che clienti della Tradel. Tra
queste ultime la Lactalis (che in Italia commercializza formaggi Galbani,
President, Invernizzi, Locatelli, Cademartori), Fallini Formaggi Srl di
Reggio Emilia (che produce formaggi grattugiati con i marchi Fallini, Casa
Emilia, Italiana Formaggi, Real Parma e Margaldo), e Sic.Al di Partinico.
Purtroppo l'elenco non si esaurisce qui. E continua con i fornitori della
Tradel: Brescialat, Caseificio Castellan Urbano, Euroformaggi, Industria
casearia Ferrari Giovanni, Frescolat, Giovanni Colombo Spa, Igor Srl,
Industria agricola casearia Meneghini, Venchiarini società cooperativa, e
Centrale del latte di Firenze, Pistoia, Livorno. Su quest'ultima, in
particolare, gli inquirenti hanno trovato documentazione che testimonierebbe
un atteggiamento "disinvolto". La ditta, infatti, avrebbe inviato alla
Tradel prodotti scaduti già da due mesi, in evidente stato di fermentazione.
Smaltiti... in tavola
Alla Galbani, gli inquirenti dedicano un capitolo a parte. Quello della
Egidio Galbani Spa è stato uno dei primi nomi a finire sui giornali come
possibile corresponsabile della frode al cui centro stava Domenico Russo.
Coinvolte nelle indagini sono infatti due aziende della Lactalis Italia Spa:
la Egidio Galbani e la Big Srl. La Galbani vendeva a Tradel prodotti
semilavorati, per lo più scarti di produzione e residui di lavorazione. La
Big forniva prodotti confezionati, invenduti o ritirati dal mercato perché
scaduti o per problemi qualitativi o d'imballaggio. L'azienda ha smentito
prontamente qualsiasi coinvolgimento nell'inchiesta e lo fa anche
nell'intervista del suo amministratore delegato che compare in queste
pagine. Dall'inchiesta, però, emergono aspetti inquietanti a carico di
alcuni suoi dipendenti.
Due fatti, per esempio, sono documentati attraverso riscontri documentali e
intercettazioni. Il primo dimostra come diversi prodotti, inviati nel 2004 e
2005 da Galbani a Tradel con etichetta cagliata a uso zootecnico, e dunque
non utilizzabili per produrre formaggi destinati all'uomo, nel 2006 vengono
inviati con lo stesso codice, ma con una dicitura generica, "cagliata", che
permette l'impiego del materiale anche per trasformazione alimentare. Un
errore? Le ipotesi degli inquirenti non sembrano avvalorare questa
sensazione e si basano su alcune mail di richiesta esplicita di cambio di
etichetta, circolate in azienda.
Non solo. A carico della Galbani c'è l'invio di croste di gorgonzola
rinominate come "residuo di produzione lattiero casearia per
trasformazione". Già nel 2002, infatti, il disciplinare relativo al
formaggio gorgonzola Dop stabiliva che la crosta non può essere destinata a
prodotti commestibili, perché potenzialmente portatrice del batterio
listeria, in grado di causare meningite in soggetti immunodepressi. Deve
dunque essere smaltita, ma non può essere riciclata neppure per mangimi
animali. Eppure, dai documenti acquisiti dagli inquirenti risultano arrivate
alla Tradel decine di tonnellate di croste di gorgonzola, rinominate per
aggirare l'obbligo di smaltimento.
Dal settimanale "Il Salvagente", luglio 2008
''Formaggi&truffe'': qualcuno aprirà gli occhi?
Riccardo Quintili
Sentiremo anche questa volta ripetere - come è già successo all'inizio
dell'estate, quando uscì la prima tranche dell'inchiesta sui formaggi
avariati - che "i consumatori possono stare tranquilli" e che "si tratta di
episodi limitati che non debbono mettere in discussione la qualità del made
in Italy"?
Sinceramente ci auguriamo di no. Speriamo di non assistere alle
dichiarazioni di routine di ministri e industriali. Perchè anche coloro che
vogliono a tutti i costi tenere gli occhi chiusi, oggi dovrebbero prendere
atto che quella che il Salvagente aveva definito la "Premiata ditta
formaggi&truffe" è qualcosa di più di un'associazione di piccoli truffatori.
Grazie all'inchiesta di Repubblica e Rainews24, emerge un sistema che grazie
alla compiacenza o alla malafede dei più grandi gruppi industriali italiani,
ha portato migliaia di tonnellate di "merda" (così la chiamavano nelle
intercettazioni i truffatori) dagli scaffali dei supermercati nelle nostre
case, nei nostri piatti. Si può dubitare delle responsabilità di un intero
comparto produttivo, dopo che sono usciti nomi del calibro di Galbani,
Granarolo, Kraft, Ferrari, Meneghini? No, non si può dubitare.
Innanzitutto perché a vendere gli scarti di produzione (invece di smaltirli,
pagando) erano proprio loro. Non basta, in alcuni casi - come testimoniano
chiaramente le indagini - alcune di queste ditte sapevano esattamente cosa
accadeva negli stabilimenti di Domenico Russo (titolare della Tradel,
l'azienda degli orrori in cui sono state sequestrate tonnellate di formaggi
scaduti, mescolati a plastica e perfino a escrementi di topi). Nel migliore
dei casi, anche quando le aziende, senza sospettarne lo stato, comperavano
semilavorati dai truffatori, è mai possibile ipotizzare che nessuno si
accorgesse di nulla? No, in un paese che stabilisce ferrei controlli di
qualità come il nostro, dove esistono regole perfino per l'Haccp per le
produzioni artigianali, non è possibile. A meno di non dover sospettare che
le regole fossero prese a cuor leggero.
Il quadro delle responsabilità è talmente chiaro, ora, che sarà difficile
negarlo. Sempre che non si voglia dare la spallata finale a quel "made in
Italy" che molti dicono di voler difendere a tutti i costi.
La sottosegretaria giura: ''avariati, ma non fanno male''
Nota "spericolata" di Francesca Martini. Serie di prese di posizione
critiche col governo.
"Delia, Tra.De.I., Megal sono i nomi delle aziende che riciclano il
formaggio avariato e poi lo rimettono nella catena alimentare con la
complicità degli organi di controllo e che rappresentano uno dei cancri
dell'agroalimentare italiano". È quanto sostiene in una nota Antonio
Mattioli, segretario nazionale del sindacato degli alimentaristi Cgil
(Flai-Cgil)
E Mattioli aggiunge: "Un paese che soffre gli effetti di un sistema
industriale debole, che non valorizza le proprie risorse, che non investe
sulla qualità, esce massacrato da vicende come quella del formaggio
alterato, che si aggiunge alle frodi sulla mozzarella inquinata, sul
pomodoro marcio, sul vino adulterato, sul grano al piombo. Invece di
vanificare, alienare, reprimere, il lavoro di soggetti che fondano la
propria presenza sul mercato in questo modo, si ha la netta sensazione di
essere alla presenza di un loro radicamento nel comparto agroalimentare
italiano". "Ora - continua Mattioli - si griderà allo scandalo per qualche
ora, qualche giorno se va bene, anche grazie alla denuncia di qualche
giornale, ma poi tutto tornerà nella 'normalità' ed i consumatori
continueranno a non sapere cosa mangiano, a non sapere se la salubrità degli
alimenti è garantita. Non si può più continuare in questo modo!".
Contro il silenzio complice
"Le imprese - sottolinea il segretario della Flai - la devono smettere di
continuare a muoversi in un silenzio complice, le istituzioni e gli
organismi competenti devono svolgere il ruolo che gli compete, la
distribuzione deve pretendere la certificazione che attesti la
rintracciabilità della materia prima, la certificazione della filiera e la
garanzia della salubrità del prodotto. Come sindacato da anni lanciamo
denunce e grida nel vuoto ed a malapena siamo ascoltati solo quando scoppia
il caso".
"Per l'agroalimentare italiano - conclude Mattioli - sta suonando il
campanello d'allarme: il made in Italy sta prendendo sberle da paura e gli
attori della filiera cominciando ad assomigliare a pugili suonati che a
malapena riescono a stare in piedi. Rimbocchiamoci le maniche, ripartiamo
dalle risorse a disposizione, qualifichiamo il lavoro combattendo illegalità
e sfruttamento, impegniamoci a sostenere accordi di filiera che garantiscano
qualità-certificazione-rintracciabilità-salubrità della materia prima e dei
prodotti e la sostenibilità dei prezzi, si faccia programmazione, si investa
sul futuro dell'agroalimentare, superando in questo modo complicità, omertà,
connivenze, competizione sleale".
Zaia minimizza
Se il sindacato si allarma, il ministro delle Politiche agricole (in linea,
del resto, con quanto hanno fatto tutti i suoi predecessori sia di
centro-destra che di centro-sinistra, cerca di minimizzare). Pronto a
dichiarare su tutto anche due volte al giorno, stavolta si affida a un
commento del suo portavoce, in base al quale "Il prodotto agroalimentare
italiano è sicuro e certificato al 95%, i prodotti sugli scaffali non sono
in alcun modo pericolosi, nel nostro paese i controlli sono efficaci e
tempestivi, e lo dimostra proprio l'emergere d'inchieste di questo tipo".
Come a dire: "Si parla di "marcio" proprio perché noi lo staniamo. Siamo
sicuri che è così?
La sottesegretaria assicura che "non fanno male"
L'immissione sul mercato, da parte di alcune aziende, di partite di
formaggio avariato, pur essendo un fatto molto grave, non comporta un
pericolo per la salute. Parola della sottosegretaria alla Salute, Francesca
Martini, che sottolinea di "essere intervenuta sull'argomento in questione
già dal 4 luglio", ricordando di aver richiesto, "per il tramite della
competente Direzione Generale della Sicurezza degli alimenti e della
nutrizione, informazioni alla Procura di Cremona allo scopo di procedere
all'eventuale ritiro dal commercio dei prodotti e di assolvere all'obbligo
comunitario di attivazione del Sistema di allerta rapido così come prevede
il Regolamento Ue 178/2001".
Lo scaricabarile del ministero
"Al riguardo - continua la nota della Martini - il 4 agosto la Procura ha
comunicato di non poter essere nelle condizioni di fornire quanto richiesto
poiché la fase delle indagini preliminari non era ancora conclusa e pertanto
qualsiasi informazione sull'indagine era sottoposta al vincolo del segreto
istruttorio".
Tuttavia, fa notare Francesca Martini, "si ha motivo di ritenere che, se la
stessa Procura avesse ravvisato un rischio per la salute pubblica, avrebbe
tempestivamente attivato le procedure del sistema di allerta, attraverso gli
Uffici competenti del Ministero del Lavoro, Salute e politiche sociali,
quale punto di contatto comunitario". Ma questa è una "forzatura" di comodo.
La magistratura, infatti, nulla può dire prima di aver concluso i suoi
accertamenti, è l'autorità politica che può intervenire a scopo
precauzionale. Non si può criticare da un lato la magistratura perché
"interviene su tutto" e dall'altro invocarne un ruolo di supplenza quando fa
comodo.
I Nas all'opera da luglio
Il sottosegretario ricorda inoltre "di aver già disposto un intervento del
Nas fin dal mese di luglio su tutte le ditte che intrattenevano rapporti
commerciali con quelle oggetto di indagine da parte della Procura di Cremona
e di aver chiesto analoghe verifiche a livello internazionale.
Sono state disposte ispezioni congiunte tra il Ministero e le Regioni presso
gli stabilimenti del settore lattiero caseario che prevedono, tra l'altro,
la verifica delle procedure che i servizi, responsabili del controllo
ufficiale devono predisporre".
A livello comunitario, la Martini ha sollecitato "un intervento normativo
sul settore in considerazione dell'estensione del problema che ha investito
anche altri Paesi comunitari. E' evidente - sottolinea - che tali pratiche
fraudolente ancorché non abbiano messo a repentaglio la salute dei
cittadini, creano comunque allarme oltre che atteggiamenti di sfiducia nei
consumatori, danneggiano le aziende che operano sul mercato correttamente e
minano il buon nome del nostro Paese in materia di qualità e sicurezza
alimentare".
Anna Bartolini: "Sconvolta, ma non stupita"
"Quanto continua ad accadere nel settore della sofisticazione dei formaggi
mi lascia sconvolta, anche se non completamente stupita". Questa la prima
reazione di Anna Bartolini,una delle leader storiche dei consumatori
italiani, rappresentante al Consiglio Europeo dei Consumatori, che ci spiega
come il motivo principale per cui continuano ad accadere questo genere di
truffe è soprattutto la mancanza di contromisure adeguate.
"Si dovrebbero punire questi reati con la reclusione, e considerare i
protagonisti di queste vicende come veri e propri criminali. Le multe e le
sanzioni pecuniarie, considerando anche i notevoli fatturati delle aziende,
non sono più un efficace deterrente. Sulla salute dei consumatori non c'è da
scherzare, e - per intervenire - non si dovrebbe aspettare che qualcuno
rischi la vita".
Gli interventi mancati
Dato che si parla di interventi, sembra proprio questo uno dei punti più
sconcertanti della storia, i controlli "conniventi" dei veterinari delle
Asl. Ci si chiede perché chi dovrebbe controllare non lo fa, quali siano i
soggetti che dovrebbero intervenire in merito.
Giusto oggi Giampiero Beltotto, portavoce del Ministro delle Politiche
agricole Luca Zaia, ha dichiarato, intervistato sulla questione dei
formaggi, che il 95% dei prodotti agroalimentari italiani è sicuro, che i
controlli ci sono, e proprio queste ultime inchieste confermerebbero i
risultati raggiunti.
"Le autorità che si occupano di questo settore dovrebbero forse intervenire
con una mano più sicura, e il ripetersi di questi episodi è la conferma che
qualcosa non va. Tanto il ministero, quanto l'Autorità europea per la
sicurezza alimentare, dovrebbero forse riflettere su questo, e sulle
contromisure adeguate da adottare".
La Usl di Piacenza: il veterinario incolpato non lavora più ai formaggi
Col passar delle ore, si infittiscono le reazioni sul nuovo scandalo
alimentare italiano, nonostante il tentativo che arriva da più parti di
mettergli la srodina. Arriva, così, la replica dell'azienda Usl di Piacenza
in merito alle presunte connivenze per i controlli nella ditta casearia
indagata: "A tutt'oggi l'Azienda Usl di Piacenza non ha assunto alcun
provvedimento poiché non ha avuto comunicazione né sulle indagini né sul
coinvolgimento del proprio dipendente che, per altro, dal settembre 2007 non
è più addetto alla vigilanza dei prodotti caseari».
Per il momento, dunque, l'azienda non si è mossa nei confronti del
veterinario coinvolto nell'indagine, anche perché la stessa Asl spiega di
aver appreso "in data odierna dalla stampa nazionale che un proprio
dipendente risulterebbe coinvolto in un procedimento penale aperto a carico
di una ditta della provincia di Piacenza che produce formaggi fusi".
L'attività di vigilanza - precisa inoltre l'azienda sanitaria - è
regolarmente svolta dai servizi veterinari dell'Asl, in collaborazione con
altri Istituti; e a tutt'oggi, i controlli non hanno rilevato particolari
anomalie. Quanto, invece, al sequestro dei timbri di competenza "sono in
corso le procedure disciplinari secondo quanto previsto dalla normativa
vigente".
Codacons: risarcire i consumatori
Il Codacons chiede, invece, che si risarciscano subito i consumatori.
"Ancora una volta ci troviamo di fronte a un gravissimo scandalo alimentare,
che danneggia i consumatori e mina seriamente la credibilità del made in
Italy":sottolinea in una nota il presidente del Codacons, Carlo Rienzi, che
sollecita interventi urgenti: "Dopo uova, mozzarella, passate di pomodoro,
olio, vino, carne e latte, ora è il turno del formaggio grattugiato
realizzato con scarti, prodotti scaduti o avariati, vermi ed escrementi di
topo. I consumatori che hanno acquistato formaggi dalle ditte che
utilizzavano tali scarti devono essere risarciti per i rischi alla salute
corsi - prosegue Rienzi - e i responsabili della truffa devono essere
pesantemente puniti ipotizzando a loro carico reati contro la salute della
collettività".
Partito democratico: cosa ha fatto l'Ispettorato addetto ai controlli?
Un'interrogazione parlamentare sulla truffa del formaggio avariato scoperta
dalla Fiamme Gialle e sull'attività dell'Ispettorato per il controllo della
qualità dei prodotti alimentari (l'ex Ispettorato repressione frodi) è stata
presentata da Elisabetta Zamparutti, deputata radicale del Pd, e rivolta ai
ministri dell'Agricoltura e del Welfare. "Esiste - afferma la Zamparutti -
un Ispettorato centrale per il controllo della qualità dei prodotti
agroalimentari presso il Ministero delle politiche agricole. L'Ispettorato
dovrebbe avere 'funzioni inerenti alla prevenzione e repressione delle
infrazioni nella preparazione e nel commercio dei prodotti agro-alimentari e
delle sostanze di uso agrario o forestale, al controllo di qualità alle
frontiere e, in genere, al controllo nei settori di competenza del
Ministero, compresi i controlli sulla distribuzione commerciale non
espressamente affidati dalla legge ad altri organismi".
Di fronte ai fatti scoperti dalla Guardia di Finanza e denunciati oggi da
alcuni media (tra cui il nostro), Elisabetta Zamparutti chiede: "cosa abbia
fatto finora l'Ispettorato e se il Ministro intenda attivarlo e come.
Esistono spesso strutture presso le nostre amministrazioni lasciate sopire a
totale danno dei consumatori".
Silvana Mura (Italia dei Valori): "Smentito il ministero"
"Il nuovo caso di truffa alimentare smentisce la risposta del ministro della
Salute alla mia interrogazione del 10 luglio". Così Silvana Mura, deputato
dipietrista e membro della commissione Affari Sociali dopo la scoperta della
truffa sul formaggio grattugiato. "Il 10 luglio scorso - afferma Mura -
avevo presentato un'interrogazione su un altro grave caso di contraffazione
alimentare verificatosi in provincia di Cremona, chiedendo al ministro della
Salute di attivarsi. Nella risposta illustrata dalla sottosegretaria
Francesca Martini il ministero affermava testualmente che non risultava
fossero in commercio prodotti che potessero costituire un pericolo per la
salute, e che non esisteva oggi, come non esisteva prima, un rischio per la
salute riguardante prodotti commercializzati a livello nazionale. Una
risposta che, purtroppo, si rivela clamorosamente falsa perchè viene
smentita dalla scoperta di questa ennesima truffa. Ci auguriamo che almeno
ora il ministero della Salute vorrà attivarsi in maniera seria ed
efficiente".